Timing della risonanza magnetica cardiaca nella stratificazione del rischio dei pazienti con STEMI:  whenever you want, but please do it
di Vittoria Rizzello, Camilla Cavallaro
01 Giugno 2020

Negli ultimi anni si sono accumulate numerose evidenze che supportano il ruolo della risonanza magnetica cardiaca (CMR) nella stratificazione del rischio dei pazienti con infarto miocardico acuto con sovraslivellamento del tratto ST (STEMI). In particolare la presenza di late-gadolinium-enhancement (LGE) e di microvascular obstruction (MVO) hanno dimostrato di impattare negativamente sulla prognosi a breve e a lungo termine di questi pazienti 1, 2.

Quale sia il timing  ideale per l’esecuzione della CMR è piuttosto controverso.  Infatti, in fase acuta, dopo rivascolarizzazione, il LGE potrebbe sovrastimare l’area infartuale a causa dell’espansione dello spazio extracellulare determinata dalla risposta infiammatoria locale. Per contro, eseguire una CMR a distanza di 3-4 mesi, potrebbe consentire una valutazione più veritiera e statica del danno miocardico, in quanto in questa fase il miocardio necrotico è completamente sostituito da tessuto cicatriziale e quindi il LGE potrebbe indicare la reale estensione della scar. Infine, eseguire la CMR sia in acuto che nel follow-up, consentirebbe di studiare il processo del rimodellamento ventricolare sinistro e definirne il significato prognostico.

Per fare chiarezza su questo aspetto, un team di esperti internazionali di CMR, ha utilizzato i dati del registro multicentrico prospettico Collaborative Registry on CMR in STEMI, in cui sono stati inclusi pazienti con diagnosi di STEMI che venivano sottoposti a CMR in acuto e nel follow-up.  In particolare, nell’analisi pre-specificata pubblicata di recente su European Heart Journal da Masci PG e coll 3, gli autori hanno confrontato in 492 pazienti con diagnosi di STEMI trattati con angioplastica primaria entro 12 ore dall’inizio dei sintomi e sottoposti a CMR in acuto e nel follow-up (entro 3-9 mesi), il potere prognostico di tre strategie di stratificazione del rischio  incentrate sulla CMR eseguita con timing differenti, ossia: precocemente (“early CMR”: mediana 4 giorni), al follow-up (“deferred CMR”: mediana 4.8 mesi) e ad entrambi i tempi (“paired CMR”).

L’end point primario dello studio era un composito di morte per tutte le cause ed ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Il follow-up è durato 8.3 anni e l’end point primario si è verificato nel 2% dei casi.

Sono stati quindi messi a punto 3 “multivariated models”: il modello “early CMR” che comprendeva il TIMI risk score basale, le variabili angiografiche (TIMI flow, infarct related artery, collaterals) ed i parametri di CMR valutati in acuto;  il modello “deferred CMR” che includeva  sempre il TIMI risk score basale e le variabili angiografiche più i parametri di CMR al follow-up;  e il modello “paired CMR” che includeva i predittori indipendenti più significativi dell’early e deferred CMR combinandoli con i parametri di rimodellamento del ventricolo sinistro, definito come un incremento  del volume telediastolico >20% o del volume telesistolico >15%.

Il modello multivariato “early CMR” ha mostrato che un TIMI risk score basale elevato (p<0,001), una frazione d’eiezione (FE) più bassa (p<0,001) e una MVO più estesa (p=0,018) erano fattori predittivi indipendenti di mortalità per tutte le cause ed ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Analogamente il modello multivariato “deferred CMR” ha mostrato che un TIMI risk score basale elevato (p<0,001), una FE più bassa (p=0,007) e un volume telediastolico indicizzato aumentato (p=0.005) erano predittori indipendenti di eventi. Infine il modello  “paired CMR”  ha confermato il potere predittivo della MVO  evidenziato alla “early CMR” e della FE  misurata alla “deferred CMR”, mentre i parametri di rimodellamento non sono risultati predittori di outcome.

Quando l’accuratezza diagnostica delle tre strategie proposte è stata confrontata con l’obiettivo di identificare la più accurata nell’identificare i pazienti a maggior rischio di morte o ospedalizzazione per scompenso cardiaco, è emerso che le tre strategie sono equivalenti e che nessuna è superiore all’altra (C-statistic: 0.726, 0.728, e 0.738, P = 0.663).

I dati di questo lavoro sono interessanti e hanno degli importanti risvolti pratici nella gestione dei pazienti con STEMI trattati con angioplastica primaria. Infatti, la dimostrazione che il valore predittivo della CMR nella stratificazione del rischio è mantenuto, indipendentemente dal timing dell’esecuzione dell’esame, rappresenta un presupposto scientifico  solido per poter eseguire la CMR  nei tempi che sono più congeniali alle varie realtà cliniche locali.

Il vantaggio di eseguire in una “early CMR” è rappresentato dalla possibilità di rilevare la presenza di MVO che negli esami di follow-up raramente è apprezzabile, in quanto sostituito dall’evoluzione fibrotica. La presenza di MVO potrebbe  rappresentare un criterio aggiuntivo per selezionare pazienti meritevoli di interventi terapeutici farmacologici precoci (per esempio sacubitril-valsartan) in grado di ridurre la mortalità e le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco.

Tuttavia, nella pratica clinica quotidiana, l’esecuzione in acuto della CMR può non  essere sempre possibile, sia per motivi clinici che logistici. In questi casi effettuare la CMR nel follow-up offre il vantaggio di quantificare in maniera accurata l’estensione dell’area infartuale reale e la funzione sistolica residua, permettendo una stratificazione prognostica ancora molto valida. In questo setting,  la “deferred CMR” si configura come uno strumento utile nell’identificazione dei pazienti in cui è indicato l’impianto di un defibrillatore e/o la resincronizzazione.

Sulla base dei dati dello studio condotto da Masci PG e coll, pertanto, sembra ragionevole proporre che i pazienti  con diagnosi di STEMI trattati con angioplastica primaria vengano sottoposti a CMR in acuto e/o nel follow-up, per un’accurata stratificazione del rischio di morte e di ospedalizzazione per scompenso cardiaco.

 

Bibliografia

 

 

  1. Symons R, Pontone G, Schwitter J, et al. Long-Term Incremental Prognostic Value of Cardiovascular Magnetic Resonance After ST-Segment Elevation Myocardial Infarction: A Study of the Collaborative Registry on CMR in STEMI. JACC Cardiovasc Imaging. 2018;11(6):813-825.
  2. De Waha S, Patel MR, Granger CB, et al. Relationship between microvascular obstruction and adverse events following primary percutaneous coronary intervention for ST-segment elevation myocardial infarction: An individual patient data pooled analysis from seven randomized trials. Eur Heart J. 2017;38(47):3502-3510.
  3. Masci PG, Pavon AG, Pontone G, et al. Early or deferred cardiovascular magnetic resonance after ST-segment-elevation myocardial infarction for effective risk stratification. Eur Hear J – Cardiovasc Imaging. 2019;44:1-8.