Riacutizzazione tra BPCO e infarto: che nesso c’è ?
di Filippo Stazi intervista Pierfranco Terrosu
03 Ottobre 2020

E’ ormai indiscutibile il fatto che la mortalità della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) sia prevalentemente cardiovascolare piuttosto che respiratoria.

Prof. Terrosu, quale è la sua opinione al riguardo?

Sorprendentemente il legame tra BPCO e malattia coronarica va ben oltre quanto atteso sulla base dei fattori di rischio condivisi: la prevalenza di cardiopatia ischemica è, infatti, eccezionalmente elevata e nettamente più frequente rispetto alla popolazione generale. Dati non spiegabili dal solo fumo di sigaretta e/o dalla coesistenza di altri fattori di rischio cardiovascolare. Molteplici evidenze scientifiche indicano, inoltre, che nella fase “stabile” di BPCO il rischio di infarto miocardico acuto è aumentato di circa 2-3 volte rispetto alla popolazione di controllo senza patologia polmonare, un dato tale da suggerire che la BPCO sia da considerare un fattore di rischio maggiore, alla stessa stregua del diabete o della dislipidemia.

L’aspetto di maggior interesse clinico è probabilmente la frequenza impressionant di instabilizzazione delle condizioni cardiache e di infarto nei pazienti ospedalizzati per esacerbazione acuta di BPCO (EA-BPCO).

Premesso che l’esacerbazione rappresenta un evento catastrofico nella storia naturale della malattia, capace di imprimere un brusco deterioramento della funzione polmonare, quel che effettivamente colpisce di più è lo stretto rapporto che esiste tra EA-BPCO ed eventi coronarici acuti. La probabilità di un danno miocardico ischemico sale infatti di circa 2-5 volte nei primi 3 giorni post AE-BPCO, scende progressivamente nel 1 mese e continua poi a mantenere un modesto aumento del rischio fino ad 1 anno. Ancor più sorprendente appare poi la relazione tra entità clinica della AE-BPCO e incidenza di danno infartuale miocardico. Le forme più severe di AE-BPCO (quelle che richiedono l’ospedalizzazione) si associano infatti ad una frequenza di infarto miocardico decisamente superiore rispetto alle forme minori trattate a domicilio.

Quali sono i meccanismi che stanno alla base della relazione BPCO-infarto miocardico?

I meccanismi sono a tutt’oggi non chiariti. In via teorica possiamo riconoscere due problematiche diverse: da un lato, la BPCO in fase stabile, che favorisce preferenzialmente lo sviluppo e la progressione dell’aterosclerosi; dall’altro, la AE-BPCO che ha maggiori potenzialità di acuzie, con instabilizzazione della placca e provocazione di un infarto acuto. Una delle ipotesi più accreditate è che una infiammazione persistente delle vie aeree sia alla base del rischio cardio-vascolare e coronarico in particolare. Di fatto la BPCO è caratterizzata da un intenso processo infiammatorio, ricco di neutrofili, macrofagi e citochine pro-infiammatorie, che può estendersi al circolo sistemico. In secondo luogo, per quanto la relazione tra ostruzione delle vie aeree e rischio cardiovascolare non sia ben conosciuta, è probabile il coinvolgimento di una alterazione della struttura arteriosa sistemica, caratterizzata da un lato da una perdita di fibre elastiche, e dall’altro lato da un effetto pro-aterosclerotico. Questa vasculopatia della BPCO è dimostrata da due osservazioni principali: a) disfunzione endoteliale; b) aumento della stiffness delle grandi arterie. L’alterazione dell’endotelio si verifica fin dalle prime fasi della BPCO e si traduce dal punto di vista clinico-sperimentale in una ridotta vasodilatazione endoteliale flusso-mediata direttamente proporzionale al grado di insufficienza respiratoria. L’aumento della stiffness arteriosa è invece causa diretta di un aumento del lavoro cardiaco ed è una variabile predittiva di rischio cardio-vascolare. In terzo luogo, la BPCO si associa con inaspettata frequenza alla sindrome metabolica ed è probabile che si crei un circolo vizioso bidirezionale in cui le due patologie tendono ad aggravarsi reciprocamente.

In questo contesto pro-aterogeno come si innesta l’improvvisa instabilizzazione clinica causata dalla EA-BPCO?

In generale sono possibili due meccanismi infartuali distinti: a) danno miocardico ischemico da discrepanza; b) infarto miocardico “classico” da trombosi coronarica acuta.

Parliamo del primo meccanismo

L’infarto miocardico da discrepanza è l’eventualità meno frequente, confinata alla fase più precoce della AE-BPCO. Il presupposto è un’alterazione emodinamica, in relazione alla perdita di elasticità e alla iper-distensione dei polmoni, che aumenta acutamente i volumi polmonari e causa una compressione dei capillari del piccolo circolo. Di conseguenza si ha un’ostacolata perfusione nelle vene polmonari e un ridotto riempimento del ventricolo sinistro. In ultima analisi avremo una bassa portata sistemica a valle e una congestione polmonare a monte. In pratica nella AE-BPCO si verificano le condizioni per una acuta discrepanza tra consumo e offerta di O2 miocardico. Da un lato aumenta il lavoro cardiaco, non solo per la tachicardia legata alla febbre e alla stimolazione simpatica riflessa, ma anche per un brusco incremento della stiffness arteriosa e quindi del afterload del ventricolo sinistro. Dall’altro lato, la caduta della gittata sistemica secondaria al basso riempimento del ventricolo sinistro compromette la perfusione coronarica e riduce la disponibilità di O2 (con l’aggravante della ipossiemia provocata dalle alterazioni ventilatorie). Ciò spiega le frequenti elevazioni della troponina durante AE-BPCO, tanto maggiori quanto più importanti saranno la severità della AE-BPCO e delle alterazioni emodinamiche.

Quale è invece il meccanismo che conduce invece all’infarto miocardico “classico” da trombosi coronarica acuta?

La relazione tra AE-BPCO e trombosi coronarica è molto complessa e si identifica in un rapporto indiretto tra infezioni delle vie aeree e aterosclerosi coronarica, più che altro basato su una serie di reazioni flogistico-immunitarie. Il primo elemento è rappresentato dalla interrelazione tra agente infettivo e immunità innata. Poiché le cellule infiammatorie del polmone diffondono nel circolo sistemico, questo meccanismo può esaltare la flogosi a livello coronarico e favorire la rottura di placca e l’infarto miocardico. Secondo elemento appare essere il coinvolgimento delle piastrine. Negli ultimi anni si è osservato, soprattutto in caso di infezione virale (e segnatamente in caso di influenza), che la prima difesa dell’organismo è assicurata da un processo di endocitosi del virus da parte delle piastrine. Questo fenomeno garantisce finalisticamente una netta riduzione della carica virale, poiché le piastrine non hanno nucleo e il virus “intrappolato” nel citoplasma non è in grado di replicarsi. Le piastrine non sono però in grado di sconfiggere e digerire completamente il virus e, attraverso un aumento del complemento C3, sollecitano l’arrivo dei neutrofili e la formazione di complessi piastrine-neutrofilo. La via finale di questa complessa sequenza di eventi è la attivazione dei monociti circolanti, che può esaltare il processo infiammatorio di placca coronarica e l’instabilizzazione clinica.

Ciò spiegherebbe anche i benefici cardiaci del vaccino antiinfluenzale.

Esattamente. Se queste osservazioni sono corrette si spiega infatti perché i vaccini dell’influenza possano prevenire l’infarto miocardico, bloccando preventivamente il virus prima dell’attivazione dell’immunità innata. Al contrario, un trattamento antibiotico non risulta efficace perché agisce troppo tardivamente, dopo che il batterio ha già stimolato la reazione flogistico-immunitaria.