Infarti miocardici misconosciuti e risonanza magnetica cardiaca: ci sta sfuggendo qualcosa di importante?
di Camilla Cavallaro
01 Settembre 2020

La risonanza magnetica cardiaca (RMC) da stress, rispetto ad altre metodiche di imaging largamente utilizzate per la valutazione dei pazienti con sospetta malattia coronarica ha degli importanti vantaggi. Grazie all’elevata risoluzione spaziale infatti, fornisce dati aggiuntivi sulla presenza di fibrosi miocardica ed ha un ruolo importante nell’identificazione di pregressi infarti miocardici (IM) non noti. Questo ultimo aspetto è stato preso in esame in un interessante studio americano recentemente pubblicato su JACC (1).

Ampi trial randomizzati (2) hanno dimostrato la non inferiorità di questa metodica rispetto ad altre modalità di imaging da stress ed alla coronarografia con valutazione della riserva coronarica (FFR) per una corretta stratificazione del rischio dei pazienti con sospetta coronaropatia.

Da studi pregressi era emerso che 1/3 dei pazienti con sospetta malattia coronarica è andata incontro ad un infarto non noto e che questa categoria di pazienti rappresenta un sottogruppo ad alto rischio sotto il profilo cardiovascolare (3).

Lo scopo del lavoro di Antiochos e colleghi (1) è stato quello di studiare le caratteristiche cliniche ed il valore prognostico degli IM misconosciuti, valutandone l’outcome a lungo termine, in termini di mortalità ed incidenza di IM non fatale e di eventi cardiovascolari maggiori (MACE).

Gli autori hanno eseguito un’analisi post hoc dello studio multicentrico SPIN (Stress CMR Perfusion Imaging in the United State). Sono stati arruolati 2349 pazienti consecutivi di età media 63 anni, equamente distribuiti tra uomini e donne, con sospetta cardiopatia ischemica sottoposti a RMC da stress. L’esame veniva eseguito mediante l’induzione di stress (con adenosina o dipiridamolo) e seguito da una fase contrastografica (LGE) che metteva in evidenza le aree di fibrosi. E’ stato definito come IM misconosciuto la presenza di fibrosi, a pattern ischemico in assenza di storia clinica di IM.

I pazienti sono stati seguiti per 4,5 anni ed è stata valutato come outcome primario l’associazione tra infarto misconosciuto e mortalità da tutte le cause, infarto miocardico non fatale ed eventi cardiovascolari maggiori.

Nel campione analizzato la prevalenza di pregresso infarto miocardico non noto era del 14.8%, mentre quella di infarto miocardico clinicamente noto è risultata essere del 15,2%. I due gruppi presentavano un tasso di ischemia miocardica inducibile sovrapponibile (34.0% vs. 32.4%; p= 0.651). L’incidenza di fattori di rischio era simile nei due gruppi mentre il gruppo con IMA misconosciuto aveva un maggiore tasso di disfunzione ventricolare (p <0.001) ed una maggiore percentuale di LGE (p <0.001).

All’analisi univariata entrambi i tipi di infarti erano fortemente associati ad un’aumentata incidenza di mortalità e di nuovo infarto del miocardio (IM pregresso misconosciuto HR: 2.15; 95%;  CI: 1.63 to 2.83; p < 0.001; IM pregresso noto: HR: 2.45; 95% CI: 1.89 to 3.18). Un secondo dato  emerso dall’ analisi è stato che i pazienti con infarto del miocardio misconosciuto, rispetto al gruppo di controllo presentavano una incidenza più alta di ospedalizzazione per scompenso cardiaco 11.8% and 5.0% (P< .001).

All’analisi multivariata la presenza di infarto miocardico (sia noto che misconosciuto) si è confermata come forte fattore prognostico, indipendente anche dalla presenza di ischemia inducibile (IM noto vs. assenza di IM: HR 1.54; 95% CI 1.14 to 2.09; p < 0.001), (IM non noto vs. IM noto: HR 1.82; 95% CI 1.37 to 2.42; p < 0.001).

Considerazioni:

Il valore prognostico di un infarto miocardico misconosciuto è sovrapponibile a quello di un IM noto in termini di rischio di morte e di nuovo infarto, indipendentemente dalla presenza di ischemia.

Come fanno giustamente notare gli autori nella discussione del lavoro, le linee guida e le principali raccomandazioni cliniche sono concentrate prevalentemente sulla prevenzione secondaria dell’aterosclerosi subclinica e degli infarti miocardici non fatali rilevati angiograficamente o mediante coroTC. La RMC è il primo esame che ci consente di identificare i pazienti con IM misconosciuto tra quelli con sospetta malattia coronarica. Queste considerazioni hanno un alto impatto sulla pratica clinica e ci impongono di intensificare l’utilizzo della RMC da stress nella valutazione della sospetta malattia coronarica. Ci invitano inoltre a porre maggiore attenzione nel  trattamento medico di questa sottocategoria di pazienti con IM misconosciuto, che è caratterizzata da un elevato rischio cardiovascolare e molto spesso riceve una terapia medica subottimale.

 

Punti chiave:

  • La presenza di infarto miocardico non noto è fortemente associata alla mortalità e alla presenza di IM non fatale ed eventi cardiovascolari maggiori, indipendentemente dalla presenza di ischemia inducibile.
  • Nonostante gli infarti miocardici misconosciuti abbiano una prevalenza ed un valore prognostico sovrapponibile a quella degli infarti pregressi noti, questi ricevono spesso una terapia medica subottimale
  • I pazienti con infarto miocardico misconosciuto hanno una prognosi a lungo termine sovrapponibile a quella dei pazienti con IM pregresso noto (in termini di mortalità e/o IM ed eventi cardiovascolari maggiori); questi presentano però un maggiore rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco.

 

Bibliografia

  1. Antiochos P, Ge Y, Steel K, Imaging of Clinically Unrecognized Myocardial Fibrosis in Patients With Suspected Coronary Artery Disease, J Am Coll Cardiol. 2020 Aug, 76 (8) 945-957.
  2. Nagel E, Greenwood JP, McCann GP, et al., for the MR-INFORM Investigators. Magnetic resonance perfusion or fractional flow reserve in coronary disease. N Engl J Med 2019;380:2418–28.
  3. Kwong RY, Chan AK, Brown KA, et al. Impact of unrecognized myocardial scar detected by cardiac magnetic resonance imaging on event-free sur- vival in patients presenting with signs or symp- toms of coronary artery disease. Circulation 2006; 113:2733–43.